Qualche giorno dopo il voto, dopo il risultato, dopo la riflessione.
È stata una campagna elettorale poco entusiasmante, costretta in una tempistica impossibile, caratterizzata da cartelloni pubblicitari nelle stazioni e sui mezzi pubblici con le gigantografie dei leader sponsorizzati, se fortunati, da imprenditori e affaristi interessati all’esito, e momenti televisivi senza confronti, ad eccezione di quello tra Letta e Meloni del 12 settembre sul Corriere.it.
La politica che doveva riprendersi il suo spazio dopo anni di inginocchiamento alla competenza dei tecnici, si è piegata questa volta alle scelte delle segreterie nazionali dei partiti, che hanno fatto di tutto per evitare di premiare la vicinanza dei candidati al territorio, venendo meno al principio della rappresentanza.
Un’unica forza politica, quella di Fratelli d’Italia, rivendica erroneamente il ritorno al concetto di “vittoria della democrazia”, considerando il distaccamento degli ultimi Governi dalle intenzioni di voto, poiché il nostro sistema costituzionale non prevede l’elezione diretta del Premier.
Se questo incipit serve ad inquadrare il mio stato d’animo, la politica internazionale è sicuramente il luogo dove poter concentrare questo mio commento, perché aiuta a inquadrare il contesto italiano nello scenario europeo.
I programmi elettorali dei partiti, per quando non percepiti più come credibili, sono tutt’oggi consegnati alle cancellerie delle Corti di Appello e voglio quindi credere contengano ancora un valore contrattuale tra il partito e l’elettorato. Ebbene: forse tra le cose che mi hanno stupito di più nel programma elettorale della coalizione di centrodestra è il primo punto. Cito: “Italia, a pieno titolo parte dell’Europa, dell’Alleanza Atlantica e dell’Occidente. Più Italia in Europa, più Europa nel Mondo”. Di seguito cito due priorità contenute in questo primo punto: “Rispetto degli impegni assunti nell’Alleanza Atlantica, anche in merito all’adeguamento degli stanziamenti per la difesa, sostegno all’Ucraina di fronte all’invasione della Federazione Russa e sostegno ad ogni iniziativa diplomatica volta alla soluzione del conflitto; piena adesione al processo di integrazione europea, con la prospettiva di un’Unione Europea più politica e meno burocratica”.
Di fronte a queste parole, scritte nero su bianco, senza fraintendimenti, con l’unica debolezza che chi le condivide non ci ha mai creduto veramente, stonano le reazioni dei Paesi tradizionalmente poco atlantisti e meno europeisti. Tra questi, il portavoce del Cremlino Dmitri Peskov dichiara: “Siamo pronti a dare il benvenuto a qualsiasi forza politica in grado di mostrarsi maggiormente costruttiva nei rapporti con la Russia”, mentre il Premier ungherese Viktor Orbán saluta la vittoria di Giorgia Meloni con un “Congratulazioni, vittoria meritata”.
Sarà questa la prima incognita per il Paese: riuscire a capire se il primo contratto che la coalizione del centrodestra ha firmato con gli italiani abbia una valenza o sia soltanto di facciata.
Nel primo caso potremmo beneficiarne solo se, messi alla prova dei fatti, cominceremo a raggiungere anche le altri 55 scadenze del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza entro dicembre 2022.